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Personnel:
Holly Channell (d), Jason Palmer (tp), Mike Kocour (p), Ben Hedquist (b)
Reference: FSNT-690
Bar code: 8427328436908
This is a very special project for me. I chose to do my debut album with arranged jazz standards because that’s how I learned to play and appreciate this music. Black American music is sacred music to me. It cuts deeper, and I am grateful to be a guest within this art form. I became enchanted by this music in January 2017 in a Jazz History class taught by Dr Ryan Nielsen.
It was in this class that my life changed. He wasn’t afraid to teach the real meaning of this music, where it really came from, and the realities of the real history of the United States and where we are with those realities today. In this class I learned about Billie Holiday, Louis Arstrong and many other incredible human beings who used their gifts in music to fight for their basic human rights and tell their stories. I knew right there and then that I wanted to be on that side of history.
Since that class I dedicated myself to the craft, and not just with playing but with striving to understand and respect the seat that I am now sitting in and who sat before me. I will always strive to acknowledge and accept that. I have a debt of gratitude to Dr. Ryan Nielsen for his bravery, courage and willingness to teach the truth in a place where that’s not always accepted.
I want to thank Lewis Nash, and his unwavering support for me and my dreams and encouragements during my time studying with him. His positivity and constant encouragement and support on my behalf helped give me the confidence to make this album and continue on my musical journey.
Thank you to Mike Kocour, director of Jazz Studies at Arizona State for taking me on, and wanting to be a part of this project. For also playing duo with me in his office, and always seeing the possibilities of who I could become. That was a huge part of my musical development.
And a thanks to Ben Hedquist, current Director of Jazz and Popular Music at GCC for being always willing and down to play with me, and being a constant steady pulse whenever we would. Jason Palmer, your guidance has been crucial in my confidence, and success. Thank you for the continued mentorship, guidance and being the absolutely amazing person, musician and family man you are.
Thanks to Clark Rigsby for his time and talents at Tempest Recordings! Your support and encouragement and excitement for this project is amazing. You made my drums sound way better than I am. And thanks toNathan at Vault Mastering for taking this project and putting the cherry on top.
Lastly, to my parents, wonderful husband and daughter for their encouragement and unwavering support. This album wouldn’t happen without you and everything you have and continue to give me. And Thanks, of course, to Jordi Pujol and Fresh Sound for taking a chance on me and putting out this record!
I hope everyone that listens to this record dances a little.
With Love,
—Holly Channell
Batterista, songwriter e didatta, Holly Channell ama il jazz e il blues che scopre sin da ragazzina, ma anche il rock degli anni Novanta e Duemila è parte del suo linguaggio: il suo album di debutto, Not Just A Standard, la dice lunga sin dal titolo, condensando feeling, energia, tecnica, corroborati da quel background di esperienze che l’hanno portata a farsi conoscere a livello internazionale.
Con base a Boston, Holly Channell inizia a suonare la batteria a dieci anni incoraggiata dal compianto zio Brice Chaput, musicista heavy metal. Si forma al Berklee College of Music, ottiene un Master in Jazz, e intraprende una gavetta di tutto rispetto. Con lo pseudonimo di Holly Marie registra diversi singoli, collabora con musicisti del calibro di Danilo Perez, John Patitucci, Ron Savage, Marco Pignataro, Terri Lyne Carrington, tanto per fare nomi, e nel tempo si aggiudica premi e riconoscimenti, tra cui il Sister In Jazz indetto dal Jazz Education Network, ma anche numerose occasioni di suonare nei contesti più raffinati, tra cui il recente tour a celebrazione della lyricist Dorothy Fields, vincitrice di un Academy Award. Inoltre, giusto per completare il quadro, la Channell suona anche chitarra e pianoforte.
A tutt’oggi la Channell non smette la ricerca della sua voce, del suo sound dietro la batteria, influenzata dalla lezione di giganti del jazz, su tutti Roy Haynes, Max Roach ed Elvin Jones, senza dimenticare tuttavia le icone del rock, tra cui Jeff Porcaro, Taylor Hawkins e Dave Grohl.
Uscito il 4 ottobre 2024 su FreshSound Records, Not Just A Standard è dunque una vera dichiarazione di intenti ed è così che la Channell, accompagnata da Jason Palmer (tromba), Mike Kocour (piano) e Ben Headquist (basso), confeziona un album fatto di un jazz corposo e vivace, capace di sfociare in esecuzioni impeccabili in un clima sempre disteso, appagando l’orecchio ascolto dopo ascolto.
Not Just A Standard è un titolo davvero eloquente, ce ne parli nel dettaglio?
L’ho scelto per sottolineare l’importanza del linguaggio del jazz e dello swing in generale, la cui eredità si esprime attraverso i cosiddetti standard. Sono stata per tanto tempo una allieva di Lewis Nash, il quale mi ha insegnato ad onorare questa musica nel senso più ampio e a trasmettermi il concetto che possiamo ancora innovare; cosa che vale anche per il blues, visto che rappresenta le fondamenta. Tanti giovani bypassano il discorso ed io, a mia volta, cerco di trasmettere loro il concetto di onorare le origini della musica che suoniamo. Per tornare al titolo del disco, ho inteso dire che uno standard non è soltanto uno standard [Not Just A Standard] visto che c’è così tanto che possiamo imparare dalle melodie, dai cambi di ritmo, dai compositori, dallo stile, dalla storia stessa di certi brani... un patrimonio da conoscere, utile per approcciare anche territori musicali differenti. Ecco, io ho cercato di mettere in pratica questo concetto e di svilupparlo tramite i brani che sono parte di questo mio debutto discografico.
C’è un episodio della tracklist che prediligi su tutti?
Mhmmm... è difficile rispondere. Mi piacciono tutti ed è stato fantastico registrarli in studio ma, se proprio ne devo indicare uno, dico There Will Be Never Another You per via dell’arrangiamento sorpresa, e mi ritrovai totalmente immersa in un vortice di emozioni. Venire a conoscenza della storia del blues, del movimento per i diritti civili, e di come questa musica fosse direttamente collegata alla schiavitù e al modo orribile in cui le persone di colore venivano trattate... Sì, fu qualcosa che mi coinvolse emotivamente nel profondo. Ho imparato a conoscere la figura di Louis Armstrong, Duke Ellington, Billie Holliday, Ella Fitzgerald e di tutti gli altri artisti che sono stati dei veri innovatori. Ho ascoltato la loro musica, quasi sempre in cuffia, con gli occhi chiusi, concentrandomi nel profondo ed è stata un’esperienza illuminante. Da quel momento, la mia vita è cambiata radicalmente e ho deciso che la black music sarebbe stata parte della mia personalità di musicista.
Il tuo nucleo di base si compone di jazz e di blues, ma c’è anche il rock...
Sento una profonda connessione spirituale con jazz e blues, ma ai groove del rock sono legata sin che ha fatto Jason Palmer, il quale, per l’occasione ha accantonato la tromba e si è messo al pianoforte, mentre io sedevo dietro la batteria. Abbiamo iniziato suonando On Green Dolphin Street [di Bill Evans con Philly Joe Jones alla batteria] ma in 5/4 e da lì via via è venuto fuori There Will Never Be Another You che successivamente abbiamo registrato in studio. È stato fantastico costruire questo pezzo in un particolare momento di ispirazione. Inoltre, confesso che sono orgogliosa di come ho suonato... l’ho fatto con tutto il mio cuore, cercando di raccontare una storia appassionante, sviluppando il tema attraverso il mio assolo.
Parlando invece della tua passione per il blues, cosa ci dici?
Wow! A dirla tutta non l’ho scoperto fino al 2017, l’anno in cui mi sono laureata in una scuola nel bel mezzo dell’Idaho, in una zona praticamente deserta... [ride] Sono cresciuta in un ambiente privilegiato di bianchi e allora ascoltavo il punk rock, la musica suonata prevalentemente dai bianchi. Nel primo semestre di quell’anno frequentavo un corso di storia del jazz e il mio insegnante, Dr Ryan Nielsen, decise di trattare la vera storia della cultura black negli Stati Uniti. Onestamente non sapevo niente di tutto questo e rimasi impressionata, amareggiata, da quando ero la ragazzina che ascoltava le band che andavano di moda allora.
Torniamo a Not Just A Standard, se ti chiedessimo di descriverlo con poche parole quali utilizzeresti
Divertente, jazzy, swing.
Che genere di equipment hai utilizzato per le registrazioni?
Ho usato la mia Gretsch Catalina Club con pelli battenti Remo Ambassador e Gretsch risonanti, mentre sulla cassa ho montato una Evans 360 Calftone e una Gretsch davanti. Un suono fantastico... e del resto non puoi sbagliare quando hai una batteria Gretsch! In quanto ai piatti, ho messo assieme un mix assortito: un 22” K Zildjian Medium Thin Low Ride, un 21” Dream Earth Ride, un 19” Zildjian Trash Crash (il mio piatto preferito!) ed un hi-hat 14” Meinl Byzance Dark. Infine, ci tengo a dire che non vado da nessuna parte senza la mia Paradiddle Bags [custodia per bacchette] il marchio che sono orgogliosa di rappresentare.
Nel corso delle registrazioni, c’è stato mai un momento di incertezza?
In realtà Gershwin’s ’S Wonderful ha avuto bisogno di più take poiché nel finale continuavamo ad inciampare. Poi però abbiamo carburato bene e tutto è filato liscio. In pratica, abbiamo impiegato cinque ore per registrare il disco.
Complimenti! Sappiamo che porterai il disco in tour, ci sono già date schedulate?
Il calendario si sta componendo e al momento so che ci saranno date nella primavera/estate 2025, nel New England, California, Arizona, forse anche nel Colorado e certamente a New York. Spero che si aggiungano anche delle date al di fuori degli U.S.
Che genere di audience attraggono solitamente le tue performance?
È un pubblico eterogeneo che va dai teenager ai pensionati: ovvero, tutte quelle persone che amano il jazz, inclusi coloro che faticano a comprendere tutto quello che accade sul palco! [ride] In tutti i casi, credo che venga percepita appieno la passione che mettiamo nel suonare, nel creare l’interplay ed anche il fatto che sul palco ci divertiamo un sacco.
A proposito di performance sul palco, ci sono specifici esercizi che fai per il warm-up?
Anni fa Allison Miller mi fece scoprire l’Alan Dawson’s Rudiment Ritual e da quel momento ho cominciato a studiare e imparare quei rudimenti e non ho più guardato indietro. Li faccio prima di ogni spettacolo e così dopo mi sento meglio, giuro!
Tu sei una batterista, una compositrice e una insegnante: c’è uno di questi aspetti della tua professione che prediligi?
Ho bisogno di fare tutte queste cose! Quando suono è perché voglio suonare. Quando insegno, è perché voglio insegnare e quando compongo è perché voglio comporre. Ho capito di aver bisogno di fare tutto quanto per sentirmi soddisfatta e felice.
I tuoi mentori?
Ce ne sono tantissimi, a cominciare da Danilo Perez. Ho avuto l’occasione di lavorare a stretto contatto con lui al Berklee Global Jazz Institute e divenne il mio mentore... facevo avanti e indietro da Panama per lavorare con la sua fondazione, la Danilo Perez Foundation. Lavorare con lui mi ha cambiato la vita, e vedere come lui ha guidato la sua musica, la sua spiritualità e la sua famiglia, è stata per me, e lo è ancora, una grande fonte di ispirazione. Un altro mio riferimento è Brian Blade: adoro il suo stile dietro la batteria, il suo suono, il suo feel, il modo con cui interagisce con chi si trova a suonare con lui. A mio avviso, ho preso parecchio di quel che faccio da Brian. Lo scorso anno ho avuto l’occasione di suonare con lui e di trarre insegnamento dall’arte del suo drumming. Una esperienza straordinaria!
Qual è il messaggio che cerchi di trasmettere ai tuoi studenti?
Quello di divertirsi. La musica, a mio avviso, deve essere prima di tutto divertimento. Se metti i tuoi studenti in una scatola e permetti loro di studiare soltanto certe cose in certi determinati modi, molti di loro dopo un po’ si allontaneranno dalla musica. La musica è una forma di connessione spirituale ed è espressione di divertimento: ritengo che sia questo un punto fisso dell’insegnamento.
Tu provieni da una famiglia di appassionati di musica?
No. In ogni modo, ho scoperto il primo drumkit grazie al mio compianto zio Brice che mi portava con sé alle prove della sua metal band. Beh, lui mi ha sempre incoraggiato a suonare! L’altro mio zio, Jonathan, suona l’organo classico, ha un dottorato e si è fatto una carriera in tal senso.
Ultima domanda: che cosa ti entusiasma di più nel suonare la batteria?
Suonare in maniera soffice e rilassata! Ed è davvero dura per me che ho un carattere vivace. Io e la mia famiglia parliamo a voce alta, ridiamo fragorosamente e siamo rumorosi ed ecco perché per me, suonare in maniera soffice, è una sfida eccitante. Oltretutto, ho scoperto che quando suoni in modo soft, riesci a suonare di più, e questo mi fa sentire bene...
—Patrizia Marinelli (November, 2024)
Drum Club Magazine, Italy